Probabilmente il nome di Eddie Costa dirà qualcosa solo ai jazzofili di vecchia data. Eppure è stato uno dei tanti jazzisti scomparsi prematuramente in giovane età – nel suo caso a causa di un incidente stradale – cosa che non ha permesso a molti di raggiungere quella piena maturità artistica relativa al talento fatto intravedere.
Edwin James Costa (14 agosto 1930 – 28 luglio 1962) è stato in effetti un eccellente pianista oltre che vibrafonista, compositore e arrangiatore emerso prepotentemente all’attenzione degli appassionati negli anni ’50. Nel 1957 fu infatti scelto come New Star dalla critica jazz di Down Beat in entrambe le categorie relative al pianoforte e al vibrafono. Fu la prima volta che un jazzista risultò vincitore in due categorie nello stesso anno, facendosi notare per il suo stile pianistico fluido ma anche percussivo, molto concentrato sulle ottave inferiori della tastiera.
Costa ha avuto perciò una breve carriera discografica di otto anni, durante la quale è tuttavia apparso in oltre 100 album, di cui però solo cinque nella veste da leader. Come sideman è apparso in orchestre guidate da Manny Albam, Gil Evans e Woody Herman tra gli altri e ha potuto suonare in piccoli gruppi guidati da musicisti affermati come Tal Farlow, Coleman Hawkins e Phil Woods, accompagnando anche cantanti come Tony Bennett e Chris Connor.
Costa era nato ad Atlas, in Pennsylvania. Ha appreso gli studi di pianoforte dal fratello maggiore e da un insegnante di pianoforte locale, arrivando ad assumere un lavoro retribuito come pianista già all’età di 15 anni. Viceversa, l’apprendimento del vibrafono è stato da autodidatta. Nel 1951, si arruolò nell’esercito e solo dopo due anni di servizio ha potuto nuovamente lavorare nell’area di New York, tra cui per le band guidate da Kai Winding, Don Elliott e il chitarrista Johnny Smith. Solo nel 1954 ebbe modo di fare le sue prime registrazioni, con il chitarrista Sal Salvador, al quale era stato raccomandato dal trombonista Kai Winding. La sua prima registrazione da leader risale al 1956, con un trio completato dal bassista Vinnie Burke e dal batterista Nick Stabulas. Costa era spesso convocato negli studi di registrazione come sideman in questo periodo: apparve in una ventina di album solo tra il 1956 e il 1957. Proprio nel 1957 ricomparve in veste da leader, sia come pianista che come vibrafonista, registrando Eddie Costa Quintet in compagnia di Phil Woods, Art Farmer, Teddy Kotick e Paul Motian.
La successiva registrazione da leader, questa volta esclusivamente al vibrafono, fu Guys and Dolls Like Vibes del 1958, registrata con Bill Evans, Wendell Marshall e Motian. L’album conteneva sei canzoni dello spettacolo Guys and Dolls che era familiare ai più nelle versioni musicali e cinematografiche esibite alcuni anni prima. L’ultima registrazione di Costa come leader fu il notevole The House of Blue Lights, un album in trio per pianoforte con Marshall e Motian, pubblicato nel 1959 e che mostra tutto il suo talento e precisamente il suo stile.
La sua adattabilità gli ha permesso di suonare in una grande varietà di contesti. Al piano, il suo suono distintivo poneva l’enfasi sulla mano sinistra (con particolare riferimento all’uso di accordi di ottava) in un periodo in cui l’approccio tipico allo strumento nel jazz si concentrava negli assoli per la mano destra, utilizzando la sinistra per lo più come supporto ritmico-armonico. Costa usava entrambe le mani per creare il proprio suono vigoroso.
Al vibrafono il suo stile era invece diverso. In proposito, il critico John S. Wilson ebbe ad affermare: “A differenza delle frequenti incursioni nel registro inferiore al piano, lo stile al vibrafono di Costa è leggero e swingante, più vicino alla maniera di Red Norvo che alla maggior parte dei vibrafonisti della sua generazione.”
Porto qui alcuni esempi ricavati dalla rete relativi all’utilizzo dei due strumenti, segnalando l’ascolto del brano tratto da The House of Blue Lights, particolarmente esplicativo del suo stile pianistico sopra descritto. Per chi non lo conoscesse si rivelerà un ascolto sorprendente anche per arditezza e modernità, considerata ovviamente l’epoca di registrazione.