Quello che si è recentemente letto sui social riguardo a chi ha osato criticare (peraltro con cognizione della materia e competenza invidiabile, oltre che una buona dose di ironia) le ultime uscite pubbliche e/o televisive di Paolo Fresu o Stefani Bollani mi ha riconfermato che la scelta di parlare il meno possibile su questo blog del jazz italiano e dei relativi protagonisti è stata quanto mai salutare e per certi versi inevitabile.
C’è poco da fare, se si vogliono evitare violenti insulti, pacchiani tentativi di delegittimazione e persino minacce personali, devi solo dire che i nostri musicisti sono tutti bravi, belli ed eccezionali, ma, se così è, preferiamo soprassedere del tutto per l’assoluto non senso della cosa, anche solo per il rispetto (che dovrebbe sempre essere dovuto) dell’intelligenza di chi legge. Guai poi a chi si permette di toccare certe inflazionate icone nazionali che imperversano in ogni dove con creatività artistica sempre più tendente allo zero. Sei subito additato come incompetente, rancoroso, invidioso, pieno di malanimo etc.etc.
Ficchiamoci bene in testa una cosa: chi fa un mestiere che prevede l’esibizione pubblica, come il musicista, deve mettere in conto la possibilità e l’esistenza della critica e dell’opinione nel merito da parte di chiunque e se non si è in grado di accettarla si deve cominciare seriamente a pensare di cambiare mestiere. Per quel che mi riguarda stiamo toccando livelli di incapacità dialettica e di regressione intellettuale (per non dire rincoglionimento) ormai fuori controllo e a tutti i livelli. Roba che nemmeno si vedeva nella retorica imperialista del Ventennio fascista. Pare che ormai si debba fare come a quell’epoca, in cui nei locali pubblici si doveva mettere in bella evidenza il quadretto del Duce, dove nel nostro caso ci si dovrebbe forse genuflettere appresso all’altare di Stefano Bollani, Paolo Fresu, piuttosto che di Enrico Rava o Franco D’Andrea prima di esercitare una qualsiasi funzione critica.
No signori, non ci sto e non ci stiamo e non solo e non tanto per salvaguardare la propria libertà di opinione e di critica, ma proprio perché non ci si rende conto del degrado intellettuale e culturale in cui il paese sta sempre più sprofondando stando dietro ad una sorta di preteso pensiero unico (in rete poi ad accesso pubblico, la cosa fa pietosamente ridere), di un diritto assoluto della maggioranza di prevalere sempre e comunque sulla minoranza, in una sorta di becero sovranismo e populismo applicati all’ambito musicale.
Ci spiace ma non fa per noi e non fa per questo blog il cui unico scopo, come più volte detto sin dagli esordi in rete, è puramente pedagogico, con la volontà e la passione di dare in piccolo un contributo divulgativo verso una musica che è in grado di arricchire profondamente la mente e l’animo di chi la ascolta e la apprezza e attraverso la quale si possono persino comprendere le complesse dinamiche sociali e culturali relative alla nostra contemporaneità. Non abbiamo altre intenzioni – se non contrastare la disinformazione e la mistificazione musicale – e non abbiamo parrocchie da difendere o assecondare. Perciò, parafrasando ironicamente il testo della nota canzone nazional popolare di Toto Cutugno verebbe da cantare:
Lasciatemi criticare
Con la tastiera in mano
Lasciatemi criticare
Sono un italiano.
Chi non è in grado di accettare questa linea, peraltro tenuta ben ferma da questo sito sin dalla sua nascita, non deve far altro che evitare di leggerci e rivolgersi ad altri lidi più graditi. Ce ne faremo una ragione. Un modo come un altro di rispettare la libertà di ciascuno. Non è difficile da capire, ci si può arrivare.
Riccardo Facchi