Brad Mehldau – Seymour Reads The Constitution! (Nonesuch- 2018)

91Ltg-S-jrL._SY355_Che Brad Mehldau sia ormai in una fase di consolidata maturità musicale (siamo prossimi ai 50 anni nel suo caso)  e che sia una delle figure pianistiche di maggior spicco sulla scena del jazz attuale, non mi crea ormai più molti dubbi, perlomeno per quel che riguarda la formula del trio e osservando le sue più recenti uscite discografiche, che mostrano un improvvisatore con un suo preciso e riconoscibile stile interpretativo  e che ha raggiunto una padronanza assoluta del linguaggio e una sua precisa “classicità”. Peraltro non è che si sia fissato solo nell’iper-collaudato ambito del trio jazz di pianoforte, visto che ha recentemente pubblicato lavori interessanti e ad ampio spettro musicale come After Bach, il duo con il mandolino di Chris Thile Modern Music registrato in compagnia di Kevin Hays e Patrick Zimmerli.

Questo disco pare proseguire sulla scia del precedente, ottimo,  Blues & Ballads, con un repertorio non riferito solo agli standard del jazz e/o al Great American Songbook (in questa circostanza la scelta è caduta su Almost Like Being in Love, Beatrice di Sam Rivers e De-Dah di Elmo Hope, il che indica anche una sua vasta e profonda conoscenza della tradizione jazz), ma anche alla ricerca di materiale su cui improvvisare più legato alla sua generazione, con proposte che a seconda dei casi svariano tra Brian Wilson dei Beach Boys (Friends), Paul McCartney (Great Day), oltre naturalmente a proporre proprie composizioni di una certa ricercatezza nell’utilizzo di metriche inusuali come il 5/4 e, a maggior ragione, il 10/8.

Il disco si lascia ascoltare molto bene e propone diversi brani di qualità, con una particolare menzione per la versione del brano dello sfortunato (in vita) Elmo Hope, in cui il pianista sforna una improvvisazione di assoluto valore e di grande maturità linguistica e pertinenza jazzistica.

Per quel che mi riguarda, vedo oggi  Mehldau come il degno erede di Jarrett nello Standard Trio, pur nella evidente diversità stilistica, generazionale e di intenti, sicuramente un pianista guida nell’ambito del pianismo “bianco” americano. Si dirà, niente di  nuovo sotto il sole,  ma chi ha detto che il nuovo sia sinonimo sempre e comunque di buona musica? A meno che ci si debba aspettare un suo disco suonato con i piedi (letteralmente) anziché con le mani. Sinceramente non ce lo auguriamo.

Riccardo Facchi

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