L’eccesso di progresso in musica…

“Le storie della musica a partire dal 1900 prendono spesso la forma di un racconto teleologico, di una narrazione ossessionata dal suo punto di arrivo, piena di balzi in avanti e di eroiche battaglie con la borghesia filistea. Quando il concetto di progresso assume un’importanza eccessiva, molte opere vengono estirpate dalla memoria storica perché non hanno niente di nuovo da dire. Questi lavori sono spesso quelli che hanno trovato un pubblico più vasto: le sinfonie di Sibelius e Šostakovic, Appalachian Spring di Copland, i Carmina Burana di Orff. Si sono formati due repertori distinti, uno intellettuale l’altro popolare. In queste pagine si fondono: nessun linguaggio viene giudicato intrinsecamente più moderno di un altro.

Allo stesso modo, la storia scavalca il confine, spesso vago o immaginario, che separa la musica classica dai generi attigui. Duke Ellington, Miles Davis, i Beatles e i Velvet Underground fanno importanti apparizioni, mentre la conversazione tra Gershwin e Berg (cit.: Signor Gershwin, la musica è musica) si ripete di generazione in generazione. Berg aveva ragione: La musica si dispiega in un continuum ininterrotto, per quanto diversi possano superficialmente apparire i suoni. La musica è in perenne migrazione dal suo punto d’origine alla sua destinazione, il fugace momento in cui qualcuno ne fa esperienza: il concerto di ieri sera, la corsia solitaria di domani.”

tratto dalla prefazione de “Il resto è rumore- ascoltando il XX secolo” di Alex Ross.

5 pensieri su “L’eccesso di progresso in musica…

  1. Non ho letto il libro di Ross. Non è la prima volta che ne sento parlare e ne sono sempre più incuriosito. Offrire una tesi diversa alla stantia cultura europea arroccata sulla sua presunta superiorità è già un atto meritorio. Posso immaginare che non piaccia agli adorniani e a tutti coloro che rivendicano la superiorità europea. È pur vero che con il razzismo è difficile confrontarsi, perché alla fine di questo si tratta e alcuni di questi personaggi così convinti della loro erudizione appresa nei conservatori e nelle istituzioni accademiche nazionali vengono allo scoperto con argomenti ad esso riconducibili.

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  2. Sempre in tema di saggistica jazz, sono curioso di conoscere il tuo pensiero su “Una storia del jazz” scritto (?) dal tuttologo Piero Scaruffi?
    Per quanto mi riguarda, definirlo pessimo non rende appieno l’idea dell’obbrobrio.

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    1. Sinceramente non conosco, se non per aver trovato qualcosa su internet ma non ho mai letto niente di suo. Posso solo dire, come ho già detto nell’articolo apposito, che scrivere un libro di storia del jazz con quel titolo intendo sia una cosa quasi proibitiva per molti. Posso immaginare che se non mi è piaciuto l’analogo libro di Zenni, che rimane comunque un musicologo preparato, suppongo che il tal Scaruffi non possa aver fatto meglio, ma non saprei andare oltre tale supposizione. In generale preferisco andare su libri scritti da autori non italiani. Altro non ti so dire.

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      1. Scaruffi è un coglione totale, da evitare come la peste. Parla di tutto senza capire un cazzo di niente, ottuso scandagliatore di avanguardismo un tanto al chilo, superficialissimo ma convinto di essere un grande vate(r). Pure tossico perché ha creato degli emuli. Ai pesci, che è meglio.

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