Dave Holland Quintet Live,1986 Freiburg

Con l’eccezione del grandissmo Charles Mingus, tutti o quasi i più grandi contrabbassisti della storia del jazz si sono affermati come leader di propri gruppi evolvendo in quel ruolo nel corso della loro carriera. Non ha fatto eccezione in questo Dave Holland, che ha esordito come leader – ma solo a livello discografico – nel 1972 con la pubblicazione dello splendido Conference of The Birds (ECM). Solo con i primi anni ’80 il contrabbassista inglese si è però affermato come leader e conduttore stabile di proprie formazioni, arrivando poi a completa maturazione a metà anni ’90 con le sue edizioni in quintetto e in big band documentate da un buon numero di incisioni di altissimo livello, formazioni che a cavallo tra fine Novecento e inizio anni Duemila erano tra le più apprezzate da critica e appassionati.

La prima di queste formazioni di cui abbiamo accennato è stata quella che nei primi anni ’80 vedeva la riunione attorno a lui del grande Kenny Wheeler alla tromba e flicorno, di Julian Priester (o Robin Eubanks) al trombone, Steve Ellington alla batteria (o Marvin “Smitty Smith) e del talentuso giovane Steve Coleman al sax contralto. Di tale formazione esistono, se non erro, ben tre incisioni ECM intitolate rispettivamente Jumpin’ in (1984), Seeds of Time (1985) e The Razor’s Edge (1987).

Ho avuto la fortuna di vedere in azione questa formazione al Teatro Ciack di Milano nei miei anni universitari (intorno al 1984 o ’85, non ricordo precisamente) che proponeva una musica avanzata, molto impegnativa da ascoltare, ma comunque sempre inseribile in una evoluzione molto aggiornata dell’idea di jazz mainstream. In rete ho rintracciato un bel filmato che documenta la musica di quella band, ma nella formazione di The Razor’s Edge e che propongo oggi ai nostri lettori, ossia con: Kenny Wheeler tp, flh, Robin Eubanks tb, Steve Coleman as, Dave Holland b e Marvin Smith dr. Vale la pena ascoltarli.

2 pensieri su “Dave Holland Quintet Live,1986 Freiburg

  1. Purtroppo, non ho mai avuto il piacere di assistere a concerti di questa formazione. Tuttavia, a distanza di molti anni da quel concerto, ho visto Dave Holland in quartetto con Taborn, Eubanks (il chitarrista) e Harland e l’impressione avuta è stata di assoluta eccellenza. Anche in quella circostanza, la musica era certamente avanzata, ma non dimentica della tradizione, nel senso di una “grammatica” ormai consolidata, stante il fatto che il jazz è un linguaggio radicato nella storia e nella cultura americana e che da lì si è diffuso nel resto del mondo. D’altra parte non capisco il senso di un jazz che guarda costantemente avanti e non si volta mai indietro, insomma una sorta di avanguardia in servizio permanente ed effettivo. Nella musica colta, dalla stagione dei serialisti si è poi approdati ai minimalisti, ai neo- tonali ecc… Non vedo perché nel jazz non possano convivere anime differenti con un retroterra più comune di quanto certa critica sappia darne adeguato conto.

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    1. Leggendoti si potrebbe pensare che ho scritto io al posto tuo da tanto sono d’accordo e se leggi gli articoli passati i concetti che hai scritto li ho ribaditi non so quante volte. Continuo a pensare come te che sul jazz in Italia si continui testardamente a divulgare una visione critica maggioritaria pesantemente errata, condizionata da un approccio culturalmente inadeguato e ammuffito, per non dire proprio ignaro di certe peculiarità musicali che si conoscono poco e male, o peggio, proprio si rifiutano più o meno inconsciamente.

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